Secondo uno psicologo, c’è una domanda che non si dovrebbe mai porre ai bambini: “Che cosa vuoi fare da grande?”. Ecco i motivi.
Spesso non ce ne accorgiamo e sul momento può sembrare una domanda sciocca e banale, ma chiedere a un bambino: “che cosa vuoi fare da grande” potrebbe essere il principio di un percorso parecchio tortuoso. Una domanda che lo potrebbe portare ad essere particolarmente ansioso e stressato, tanto da farlo entrare nel pallone e metterlo in imbarazzo.
Non tutti i bambini, fin dalla tenera età sanno cosa vogliono fare una volta diventati adulti. Certo alcuni sono molto fantasiosi e si immaginano astronauti, ballerini, medici, esploratori perché attratti da quello che leggono o guardano in video.
La stessa cosa non vale per molti altri che al solo sentir pronunciare una frase simile, potrebbero sentirsi fuori posto, cosa che è stata messa in evidenza da un celebre psicologo Adam Grant. Egli è uno psicologo delle organizzazioni e professore presso la Wharton School dell’Università della Pennsylvania.
Quest’ultimo per parlare dell’argomento, è partito da una sua esperienza personale, mettendo a paragone lui e suo cugino.
Grant ha infatti raccontato che da piccolo non aveva la più pallida idea di che cosa fare da grande e quando gli ponevano la domanda si sentiva sempre fuori luogo, visto che le sue aspirazioni erano sempre quasi irraggiungibili.
Cosa che invece non riguardava il cugino che ha sempre avuto le idee chiare sul suo futuro: voleva diventare medico e ci è riuscito.
Ma il pensiero dello psicologo Grant è molto più profondo.
Egli sostiene che “tutti abbiamo un’idea di chi vogliamo essere”, ma – a quanto pare – un pensiero simile non si limita solo alla carriera da perseguire da grande perché fin dalla tenera età sviluppiamo idee su dove vivremo, quale scuola vorremo frequentare, che tipo di persona sposeremo e quanti figli avremo.
Questi pensieri possono aiutarci a fissare degli obiettivi particolarmente audaci e guidarci verso un percorso di carriera lavorativa che ci consenta di perseguirli.
Ma il pericolo di questi piani è che possono darci una visione a tunnel, rendendoci ciechi di fronte a possibilità alternative.
Tuttavia queste ipotesi potrebbero anche essere particolarmente dannose perché con il tempo potremmo cambiare idea in base alle esperienze vissute e agli studi fatti.
Quindi rimanere fissi su un obiettivo come questo non ci aiuta, ma al contrario è molto pericoloso perché potrebbe portarci a tenere la nostra vita bloccata come in una bolla.
Spesso accade che quando ci dedichiamo a un piano e non sta andando come speravamo, il nostro primo istinto di solito non è quello di ripensarlo. Invece, tendiamo a raddoppiare e ad investire più risorse in quest’ultimo. Tale comportamento si chiama “escalation di impegno”.
L’“escalation dell’impegno” avviene perché idealizziamo i nostri obiettivi, alla costante ricerca di auto-giustificazioni anche quando non riusciamo in qualcosa con la prospettiva di proteggere sempre i nostri piani e convalidare le decisioni passate.
Insomma ecco perché non bisognerebbe insistere con un bambino con una tale domanda “cosa vuoi fare da grande” perché da questa, secondo Grant, potrebbe partire un percorso che porta alla “preclusione di identità”.
Cioè va ad influenzare negativamente il bambino che si fossilizza su un determinato percorso di vita, magari non completamente adatto a lui.
Anche Michelle Obama si è espressa a riguardo ed ecco che cosa ha riferito: “Penso che sia una delle domande più inutili che un adulto possa fare a un bambino. Cosa vorresti fare da grande? Come se crescere fosse finito. Come se, a un certo punto, diventassi qualcosa e quella è la fine”
Come si è scritto quindi alcuni bambini sognano troppo in piccolo, accontentandosi di seguire le orme della famiglia e non prendono mai veramente in considerazione le alternative. Alcuni vivono il problema opposto: hanno sognato troppo in grande, attaccandosi a una visione nobile che non era realistica.
Anche se i bambini si entusiasmano per un percorso professionale che si rivela realistico, quello che pensavano fosse il lavoro dei loro sogni può rivelarsi un incubo.
Infatti il consiglio dello psicologo Grant è di fare in modo che i bambini imparino ad affrontare delle possibili carriere lavorative come azioni da intraprendere, senza intaccare in nessun modo le loro identità personali.
Quindi il concetto è di fargli vedere il lavoro come quello che fanno e non di identificarlo con quello che sono, in questo modo diventano più aperti all’esplorazione di diverse possibilità.
Ecco allora il consiglio che Grant ha dato ai genitori in base a ciò: “se i tuoi figli decidono di avviare una conversazione su ciò che vogliono essere quando cresceranno, fagli sapere che non hanno bisogno di scegliere una carriera; potrebbero fare molte cose. Invitali a fare un brainstorming su tutte le cose che amano fare, magari progettare set LEGO, studiare lo spazio, scrivere in modo creativo, allenare il calcio o essere uno YouTuber del fitness”
Dunque scegliere una carriera non è come trovare un’anima gemella. È possibile che il tuo lavoro ideale non sia stato ancora inventato. Le vecchie industrie stanno cambiando e ne stanno emergendo di nuove più velocemente che mai. Infatti, ad esempio non è da molto che Google, Uber e Instagram esistono. Anche il tuo sé futuro potrebbe non esistere in questo momento e i tuoi interessi potrebbero cambiare nel tempo.
Per avere un maggiore approfondimento sulla questione è possibile consultare la rivista web Make it.
E voi unimamme avete mai chiesto ai vostri bambini cosa vogliono fare da grande?
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