Lo smart working si è rivelato fondamentale per molte aziende per continuare a lavorare in piena pandemia quando non era possibile spostarsi a causa delle restrizioni in vigore. Non ci sono però novità particolarmente buone per chi continua a operare in questo modo.
Le restrizioni introdotte per fermare la pandemia hanno modificato la quotidianità di molti. La maggior parte delle attività commerciali sono state costrette a chiudere, generando inevitabilmente un calo notevole nei profitti. E’ certamente andata meglio soprattutto a chi fa un lavoro d’ufficio, che ha continuato a operare grazie allo smart working. Chi era in questa condizione, infatti, ha potuto continuare a garantire il suo servizio grazie a connessione e computer di casa.
Anzi, in situazioni simili le app quali Whatsapp, Telegram, Zoom e Google Meet si sono rivelate provvidenziali per la capacità di ridurre le distanze. Sono state tante infatti le aziende che hanno comunicato attraverso le cosiddette “call conference”. Queste hanno permesso a capi e dipendenti di comunicare come se non si trovassero nello stesso posto.
Lo smart working per molti è fondamentale
Ci sono realtà professionali in cui portare avanti il lavoro è fondamentale, anche in situazioni di emergenza. Ed è quello che è accaduto anche nel pieno della pandemia: in quel periodo sono stati diversi i professionisti che hanno continuato a operare pur con la cautela necessaria.
Il sistema si è rivelato particolarmente comodo perché ha permesso di garantire il servizio senza la necessità di spostarsi da casa e di farlo anche in orari differenti rispetto a quelli previsti dall’ufficio. Alcuni imprenditori ne hanno però “approfittato” e hanno così richiesto ai loro dipendenti di continuare a muoversi in questo modo nonostante le restrizioni siano ormai un ricordo.
Anzi, in certe situazioni viene richiesto uno “sforzo extra” nel weekend, magari per accontentare clienti che si sono rivelati particolarmente esigenti.
Una notizia difficile da digerire
Chi continua a operare in smart working, nonostante le restrizioni non siano più in vigore, ha iniziato ad apprezzarne gli aspetti positivi. Si ha infatti la possibilità di svolgere il proprio lavoro in assoluta comodità, magari semplicemente tenendo il PC sulle ginocchia e stando seduti sul divano di casa. Non è inoltre necessario mettersi particolarmente eleganti, cosa che si fa sicuramente di più se ci si dovesse recare in ufficio. Qualche accortezza in più per l’outfit è richiesta solo se si dovesse fare una video call, ma in genere non sono previste tutti i giorni.
Questo tipo di lavoratori però non potrà però più usufruire di un’agevolazione che è stata garantita loro finora, a meno che non dovessero decidere di tornare a operare in azienda.
L’ARAN, Agenzia per la Rappresentanza Nazionale delle Pubbliche Amministrazioni, ha infatti deciso di non concedere più i buoni pasto a chi opta ancora per lo smart working. La motivazione non è difficile da individuare: loro hanno infatti la possibilità di mangiare comodamente dalla propria abitazione.
La scelta viene inoltre spiegata in modo ancora più precisa se si considera quale sia la caratteristica principale del lavoro agile. Con questo termine si indica “una modalità di esecuzione del lavoro di tipo subordinato che è disciplinata da ogni ente con un proprio regolamento e con un accordo fra le parti. Questo sistema non prevede vincoli di orario o di luogo in cui svolgere l’attività, ma ha un’organizzazione sulla base di fasi, cicli e obiettivi”.
Ed è proprio l’assenza di vincoli e orari (ognuno può lavorare quando lo ritiene necessario) che non rende necessaria la ricezione dei buoni pasto.
Ben diversa è invece la situazione di chi effettua lavoro da remoto. Questo prevede “vincoli di luogo e orario”, elemento che prevede che “il lavoratore consumi il proprio pasto al di fuori dell’orario di servizio”.