Ogni futura mamma può usufruire del congedo di maternità, che le consente di assentarsi dal lavoro per potersi occupare del proprio bambino. In alcuni casi è però necessario far sì che questo diventi più lungo e seguire una procedura specifica affinché la richiesta venga accettata.
Il periodo che precede la nascita di un figlio non può che scatenare un turbinio di emozioni in una futura mamma. Anche chi normalmente ha un carattere sicuro di sé può arrivare a pensare, man mano che il lieto evento si avvicina, di non essere all’altezza della situazione e finisce così con il chiedere consigli a chi ha già vissuto questa esperienza.
Non tutte le gravidanze sono però semplici e c’è chi è costretto ad assentarsi dal lavoro per un periodo maggiore rispetto a quanto previsto dalla legge. A livello normativo, infatti, il congedo di maternità ha una durata minima di cinque mesi tra prima e dopo il parto. A usufruire di questa opportunità sono anche le donne che hanno optato per affidamento o adozione.
Il periodo che precede e quello subito successivo alla nascita di un figlio è certamente delicato. È importante infatti che una donna eviti eccessivi sforzi nella fase terminale della gravidanza, ma anche che segua il suo bambino nel periodo successivo a quando lui è venuto al mondo. Questo vale ovviamente non solo per chi deve allattare il suo piccolo, ma anche per seguirlo nella fase di crescita.
È proprio per questo che è stato istituito il congedo di maternità, a cui hanno diritto le lavoratrici dipendenti durante la gravidanza e il puerperio. Ogni datore di lavoro è chiamato a concederlo. Questo deve essere considerato un diritto indispensabile.
Se una donna dovesse essere impossibilitata a usufruire di questa misura, è comunque possibile concedere il congedo al padre. In questo caso viene chiamato “congedo di paternità alternativo”. Non è comunque possibile usufruirne sempre. Devono esserci infatti determinate condizioni: morte o grave infermità della madre, mancato riconoscimento del neonato da parte della mamma, affidamento esclusivo del figlio al padre, abbandono del figlio da parte della mamma.
Ci sono però casi particolari in cui è necessario che il congedo di maternità duri di più rispetto ai canonici cinque mesi. Chi vive questa situazione non deve disperare: questo è possibile, ma a condizione che si verifichino condizioni ben precise. Questo viene definito “congedo parentale” e può essere richiesto sia dalla madre sia dal padre fino al compimento del primo anno di vita del bambino.
Un’ulteriore agevolazione è stata prevista se si è l’unico genitore a occuparsi del figlio: in questo caso, infatti, si può usufruire di un congedo di 11 mesi fino ai 12 anni di età o dall’ingresso in famiglia (se si tratta di affidamento o adozione).
La norma prende ovviamente in considerazione anche le donne che sono lavoratrici autonome iscritte alla gestione separata INPS: in questo caso l’astensione è di 3 + 3 mesi da fruire entro i 12 anni di vita o dall’ingresso in famiglia.
Il datore di lavoro è chiamato inoltre a rispettare altri doveri, introdotti proprio a tutela delle neo mamme. Queste, infatti, non possono essere licenziate fino a che il bambino non ha compiuto un anno, secondo quanto stabilito dall’art. 54 del decreto legislativo 151/2001. Non è possibile farlo nemmeno se l’imprenditore non fosse a conoscenza dello stato di gravidanza della sua dipendente. In caso di mancata osservanza della legge, la donna deve essere reintegrata nel proprio posto di lavoro, oltre a dover essere pagata dalla data del licenziamento fino al rientro in azienda.
Fino al primo anno di vita, se dovessero sussistere dei motivi gravi, la neo mamma può inoltre richiedere un periodo di aspettativa, in cui però non percepisce alcuna retribuzione. Una decisione di prendere in situazioni particolarmente complicate, ma che non dev’essere a prescindere esclusa come possibilità.
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