È un tratto caratteriale innato in qualsiasi individuo ma in certi casi, in ambito relazionale, può diventare prevalente e limitante. Ecco come affrontarla.
La timidezza è uno degli ingredienti della personalità di qualsiasi individuo. Sostanzialmente è una misura di cautela particolarmente sana, che aiuta l’individuo a comprendere in quali situazioni percepisca di non “padroneggiare” determinate capacità e abilità richieste dall’ambiente in cui vive: ad esempio, quando ci sentiamo goffi e inadeguati durante fasi di apprendimento, la timidezza innesca in noi una sorta di “suggerimento” a migliorare le nostre competenze in quello specifico ambito di maturazione e sviluppo.
Tuttavia, quando da sprone si trasforma in blocco emotivo, ecco che limita le nostre possibilità di crescita. Solitamente ciò si verifica quando l’individuo percepisce un’eccessiva ansia da prestazione rispetto all’ambiente in cui è immerso. In questo caso, il timore di non essere accettato e finanche escluso da quell’ambiente nel caso in cui commetta errori – che, è importante sottolineare, sono fisiologici in qualsiasi processo di apprendimento – inibisce le sue capacità di apertura verso il mondo esterno.
Ecco quindi che si chiude in se stesso: è un meccanismo di difesa naturale, presente in forma e misura variabili in base all’unicità di ciascun individuo. E tuttavia comune a tutti. Quando però il meccanismo assume dimensioni sproporzionate, impedendo all’individuo non soltanto di socializzare con gli altri ma arrivando anche a tacere a se stesso i propri limiti, la sana forma di cautela può divenire un problema attitudinale disfunzionale. Come fare quindi per non rischiare di eccedere in timidezza e trasformarla da nostra alleata a nostra nemica?
Quando il nostro bambino mostra timidezza, è il caso di preoccuparci? Ad esempio, se durante una visita da parenti e amici si nasconde dietro alle nostre gambe, meglio obbligarlo a non farlo e “spingerlo nella mischia”? Ebbene, può essere assai producente infondere nel bambino un senso di tranquillità e sicurezza: mostrargli, cioè, che l’ambiente in cui ci troviamo è sicuro, privo di rischi e che noi stessi al suo interno ci sentiamo a nostro agio.
Dopodiché, quando esternerà tentativi di apertura, come ad esempio un sorriso alla nonna oppure quando accennerà qualche parola (o verso, se è ancora molto piccolo) al nonno, assecondiamolo con trasporto, pur senza esternare entusiasmi eccessivi. Per esempio dicendogli che un sorriso così farà sentire meglio anche la nonna o dicendogli poi che al nonno piace tantissimo parlare con lui.
Non sottovalutiamo inoltre di coinvolgere i nostri cari: informiamoli riguardo alla timidezza del nostro bambino e non esitiamo a dir loro come stiamo affrontando la cosa, richiedendo anche pazienza e supporto per ottenere risultati ancora migliori. In questo modo si potrà formare un atmosfera “di gruppo” e gradualmente le resistenze del nostro bambino potranno affievolirsi e diminuire.
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