Tra le tante metodologie di parto, torna a far parlare di sé quello attivo, dove la donna non è più medicalizzata bensì protagonista.
Alcuni lo chiamano patriarcato, altri addirittura strumentalizzazione del parto: sono molte le sfaccettature e le opinioni che sono nate in campo medico in merito al momento più delicato per una donna. Il parto, così come lo conosciamo ad oggi, viene spesso praticato in sala parto, dove ostetriche e medici si adottano in tutto e per tutto per far sì che tale evento avvenga nel migliore dei modi sia per la salute della madre che per lo stesso nascituro.
Eppure qualcuno sostiene che tutto questo sia una vera e propria strumentalizzazione di un momento che la donna saprebbe affrontare benissimo da sola, con i suoi istinti, l’ascolto del suo corpo e le proprie capacità.
La donna sa partorire, anche se questo significherebbe soffrire e lasciarsi andare ai segnali che il corpo suggerisce. Il tutto, senza omettere il supporto di dottori ed ostetriche che, invece di essere parte attiva del processo, sono grande risorsa di supporto (specialmente in caso di complicazioni).
La visione del parto attivo vede la donna come proprietaria del suo corpo, con rispetto delle proprie necessità. Il parto attivo significa avere la partoriente come protagonista, con piena possibilità di scelta per sé stessa e per il proprio bambino. È un modo istintivo e naturale di vivere il parto, in contrasto con la medicalizzazione che ha dominato per decenni. Questo approccio, in buona sostanza, mette al centro la donna, supportata da un modello di assistenza ostetrica relazionale che si focalizza sull’ascolto e sulla personalizzazione dell’assistenza.
Per capire meglio di cosa stiamo parlando è bene fare un salto nel passato. L’espressione ‘parto attivo’ è stata coniata da Janet Balaskas, fondatrice del movimento Active Birth nel 1982. L’idea è semplice: la donna deve avere la libertà di muoversi e scegliere le posizioni preferite, sia in travaglio che nella fase espulsiva. In questo approccio, la donna prende il potere sul parto, diventa artefice e responsabile delle proprie scelte, supportata dalle proprie energie. Tra i maggiori sostenitori del parto attivo troviamo Michel Odent, che enfatizza l’importanza dell’istintualità della donna, libera di esprimersi e di partorire come preferisce.
Nel parto attivo, la donna ascolta il proprio corpo e dà priorità alle sue sensazioni, esprimendo pienamente la sua capacità decisionale. L’ostetrica, dal canto suo, gioca un ruolo essenziale. Lei ascolta, sostiene emotivamente e rispetta il neonato nei suoi primi bisogni, creando un ambiente sereno per una nascita senza ‘violenza’. Si tratta, dunque, di un’assistenza basata sulla fiducia nel processo fisiologico del parto e su una relazione empatica con la donna.
I benefici del parto attivo includono una maggiore consapevolezza del proprio corpo, una migliore gestione del dolore, riduzione dei tempi del travaglio e dei rischi di lacerazioni, oltre a un recupero post-partum più rapido. Anche il coinvolgimento del futuro papà diventa più attivo, il che conserva i suoi pro del caso.
E per quanto riguarda i contro? In realtà non esistono particolari controindicazioni al parto attivo. Questo, salvo situazioni specifiche dove la fisiologia si trasforma in patologia e si rende necessario monitorare il travaglio con più attenzione. In questi casi, è fondamentale che la donna sia informata durante i corsi di accompagnamento alla nascita, per affrontare con consapevolezza anche eventuali deviazioni dal percorso naturale.
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