Vostro figlio è un egoista? Vi dà da penare perché proprio non c’è verso di insegnarli a condividere i giochi?
Lo vedete bisticciare con i suoi amichetti perché non vuole prestare il pallone, cedere un suo gioco per giocare insieme ad un altro, togliere dalle mani degli altri quanto è “suo”?
Riponete la cornetta del telefono e non chiamate né il collegio, né le suore, né l’uomo nero per carità (con questo fatto dell’uomo nero siamo stati terrorizzati per anni e non è carino), insomma state buoni con le rappresaglie educative, forse una ragione c’è, e non è che avete dato alla luce un avido Paperon de’ Paperoni: la risposta è nel cervello.
Lo studio sui bambini egoisti: occorre comprendere il concetto di condivisione
A quanto pare da studi recenti effettuati presso il Max Planck Institute for Human Cognitive and Brain Sciences in Germania, se il vostro bambino manifesta atteggiamenti egoisti è perché nella prima parte della vita ancora non si sono sviluppati nel cervello i collegamenti cerebrali che permettono la comprensione del concetto di condivisione.
Lo studio tedesco consisteva nel proporre ai bambini, in un’età dai 6 ai 14 anni, un gioco di scambio avente ad oggetto gettoni per il poker:
- nella prima opzione un bambino doveva offrire di condividere i gettoni e l’altro poteva solo accettare;
- nella seconda opzione un bambino poteva proporre di condividere i gettoni, e l’altro bambino poteva accettare o rifiutare l’offerta. Se rifiutava, nessuno dei due teneva i gettoni.
Osservando il comportamento dei bambini più piccoli e l’elettroencefalogramma che registrava la loro attività cerebrale è emerso che i più piccoli tendono a fare delle offerte parecchio sbilanciate rispetto a quelle dei più grandi, quindi potremmo definirli “poco strategici”.
Inoltre, pur comprendendo l'”ingiustizia” del loro operare (come dimostrato dalle zone del cervello che si accendevano sull’elettroencefalogramma), si dimostravano più egoisti ed i centri cerebrali preposti al controllo dell’attività di condivisione mostravano una minore attività.
Quindi, il vostro bimbo sa bene che il suo comportamento non è proprio tra i più corretti, ma non può fare altrimenti, semplicemente perché non è abbastanza maturo.
Come fare quindi? Portare pazienza e aspettare che quanto deve portarsi a compimento si concluda sul piano fisiologico, e contemporaneamente mandare un messaggio educativo forte e chiaro sul valore della condivisione e del dono.
E voi unimamme, che ne pensate?