L’assassino di Yara Gambirasio, sparita di casa il 26 novembre del 2010 e il cui corpo è stato ritrovato in un campo a Chignolo d’Isola, tre mesi dopo, ha un nome: Massimo Bossetti, condannato all’ergastolo per questo atroce delitto.
Massimo Bossetti condannato all’ergastolo per la morte di Yara
A determinare il pesante verdetto che ha visto riconosciuta anche l’aggravante della crudeltà e ha disposto 1,2 milioni di Euro per la famiglia Gambirasio, sono state diverse prove, tra cui il DNA di “ignoto 1” lasciato dall’aggressore sugli slip e sui leggins della vittima.
Forse ricorderete che, dopo una capillare ricerca, era emerso che il dna appartenesse al figlio illegittimo di Giuseppe Guerinoni, un autismo di pullman morto nel 1999.
Questa prova insieme ad altri importanti indizi come
- l’aggancio delle celle telefoniche nella zona della palestra frequentata da Yara,
- le sfere di metallo trovate nelle scarpe della vittima (sono caratteristiche delle zone in cui ci sono cantieri edili),
- la mancanza di un alibi
- e le fibre trovate sui vestiti della giovane compatibili con quelle del suo furgone
gli sono costate la severa condanna.
A quanto pare, dal momento che erano vietate le riprese in aula al momento della sentenza, l’imputato sarebbe rimasto impassibile durante la lettura del verdetto, per poi ribadire, all’uscita la sua delusione. “Non è giusto. È stata una mazzata, avevo fiducia nella giustizia. Non sono stato io”.
Massimo Bossetti, fin dal principio, ha sempre ribadito la sua completa innocenza e, anzi, ha supplicato affinché fosse ripetuta la prova del DNA.
Questo però non è possibile perché il campione non è più utilizzabile e comunque il giudice Antonella Bertoja ha ritenuto questa prova completamente attendibile.
La sua difesa invece ha contestato la mancanza di corrispondenza tra il dna nucleare, attribuito a Bossetti e quello mitocondriale la cui appartenenza non è stata possibile stabilire. I difensori di Bossetti hanno definito il dna incriminante “una mezza traccia” “forse contaminata”.
A questa critica risponde il genetista Emiliano Giardino, dell’Università di Roma Tor Vergata, che ritiene la prova inconfutabile, e non passabile di errore.
Per quanto riguarda invece la prova delle celle telefoniche Bossetti era solito fare quella strada tornando dal lavoro. Sulle immagini del furgone analizzate dal Ris e dal Ros dei carabinieri e che immortalano il furgone dell’imputato per 7 volte intorno alla palestra nell’orario della scomparsa di Yara. I legali dell’uomo parlano esplicitamente di “malafede” e di aver approntato un video “tarocco”.
Le fibre trovate su Yara compatibili con quelle del furgone ma per la difesa sarebbero insignificanti. L’accusa ha sempre ribadito di considerare tutte le prove nel complesso.
Infine c’è l’alibi che non regge. Bossetti ha sostenuto di essere stato, dopo il lavoro, dal commercialista e poi a comprare delle figurine per i figli, ma nessuno si ricorda di averlo visto.
Se il condannato e la sua famiglia sono distrutti, la famiglia di Yara è consapevole che finalmente l’assassino della figlia ha un nome e dovrà scontare la sua pena, anche se questo non allevia il dolore per la perdita.
“Yara non ce la riporterà indietro nessuno. È andata come doveva andare, ma questa è e resta una tragedia per tutti che non ci restituisce indietro nostra figlia” ha dichiarato la mamma della ragazza.
Questa è una sentenza di primo grado e dunque il cammino è ancora lungo, ma i famigliari di Yara hanno fiducia nella giustizia.
Unimamme voi cosa ne pensate della conclusione di questa vicenda?