Elena Santarelli: «Il momento più brutto della malattia di mio figlio»

Elena Santarelli si è sfogata sulle pagine del Corriere della Sera, dove ha raccontato tra le lacrime i momenti peggiori passati in questi mesi accanto al figlio malato.

Elena Santarelli giura di non aver mai pianto davanti al figlio Giacomo, 9 anni, da quando è stato scoperto il tumore al cervello contro cui il piccolo e tutta la sua famiglia combattono da mesi: «Mai, mai, mai. A volte, mi chiedo: com’è possibile? Ma in certi frangenti, la forza arriva. Io non ho mai trattato mio figlio da malato, gli ho sempre detto che, mentre si fanno le chemio, si studia e questo ha creato una normalità nella mia vita e nella sua».

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Elena ricorda con orrore il 30 novembre, il giorno in cui lei e suo marito hanno scoperto che Giacomo aveva il cancro: «La cosa peggiore è che non ero presente alla risonanza. Ero stata operata all’anca e avevo stampelle e dolori, è andato solo Bernardo, ma non avevamo sospetti, era un esame fatto per precauzione. Quando mio marito è tornato a casa, gliel’ho letto in faccia. Sono andata in bagno e ho vomitato. Poi, mi sono messa a piangere in silenzio, per non farmi sentire da mio figlio. Giacomo mi ha chiesto di giocare alla Playstation e l’ho fatto. Ho passato la notte su Internet a cercare le parole del referto e a chiamare amici che conoscevano medici».

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Elena Santarelli preferisce non parlare di sintomi per non creare falsi allarmismi, e si limita a dire di aver sottoposto Giacomo a dei controlli per una questione di «intuito materno. Stava bene, ma mi sembrava strano».

«Ricordo solo io che mi ripetevo: tuo figlio ha un tumore. Non potevo non pensare alla morte» confessa la showgirl, assicurando però che i medici non le hanno mai prospettato questa possibilità («Senza esame istologico e profilo di metilazione, non puoi prevedere le percentuali di sopravvivenza. La paura della morte era solo nella mia testa»).

A quel punto sono cominciate le cure. «La prima sera in reparto è stata la più dura. Non volevo che Giacomo vedesse i bambini intubati, non potevamo dirgli subito: ora fai la chemio, perdi i capelli, combatti le cellule. Ci siamo arrivati piano piano con l’aiuto, fondamentale, degli psicologi».


Nei giorni successivi, Elena ha dovuto sforzarsi per tornare ad assomigliare alla mamma che era stata fino a qualche giorno prima: «I primi giorni, stavo come una scappata di casa e non è da me. I bimbi sono astuti, ho capito che dovevo farmi la piega, mettere il solito rossetto, anche se mi sentivo giudicata, in ospedale, col rossetto. Ma ho fatto bene. Quando gli do un calcio nel sedere, bonariamente, non mi dice “mamma, ho il tumore”. La malattia non l’ha cambiato molto, ha solo perso i capelli. Ma sono stanca di chi mi dice “tanto è maschio”. Io ragiono con la sua testa e so che ne soffre. Mi strapperei i miei capelli per darli a lui. Il momento più brutto è stato quando, di notte, con la torcia, andavo a raccogliere i capelli di Giacomo dal cuscino, per non farglieli trovare al mattino. Quei momenti erano una pugnalata. Metti al mondo un figlio e vuoi proteggerlo, ma non sai che puoi sentirti così tanto impotente».

Ora non resta che aspettare, e sperare: «Il percorso è lungo, confidiamo di essere nell’80 per cento che si salva».

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