Luca (il nome è di fantasia) ha 15 anni e frequenta un istituto magistrale. Suo malgrado, è diventato l’ultimo caso di omofobia a calcare le pagine dei giornali.
Lo scorso dicembre Luca fa una battuta a sfondo sessuale ad un compagno e da lì inizia il suo calvario: il ragazzo si sente offeso dal commento e lo etichetta come omosessuale coinvolgendo il resto dei compagni e finendo per isolarlo. In poco tempo Luca si ritrova emarginato dal gruppo e gli altri lo accusano anche di essere un raccomandato.
La situazione per Luca diventa pesante, la scuola diventa un ambiente ostile e i suoi risultati scolastici cominciano a risentirne. Come se non bastasse Luca scopre l’esistenza di una chat di gruppo su Whatsapp dal nome esplicito “We hate Luca” (“Odiamo Luca” ndr) di cui fanno parte ben 8 compagni.
In questa chat Luca legge tutto l’odio che questi ragazzi stanno scaricando su di lui:
- insultano i suoi presunti gusti sessuali,
- lo etichettano come un fallito
- e scopre anche il piano per rubargli il motorino, sparito durante un’interrogazione.
Legge anche che avrebbero voluto “dargli una lezione”, ma essendo uscito quel giorno da scuola insieme a un professore, l’agguato salta.
La madre a questo punto interviene, cercando l’aiuto degli altri genitori. A sua volta viene minacciata, a dimostrazione che l’odio dei ragazzi non si genera spontaneamente nelle loro menti, ma ha radici nell’educazione che ricevono.
Luca è disperato e sente di essere al limite. Dice alla madre: “Perché vivo? Se morissi, non avrei questi problemi” ed è proprio per evitare che si ripeta un caso come quello del novembre 2012, quando un alunno del Cavour si tolse la vita per le offese omofobe subite solo perchè amava indossare abbigliamento di colore rosa, che la donna denuncia l’accaduto. Dove non arriva l’intelligenza e la cultura, forse può arrivare la magistratura.
Per le istituzioni e l’Italia, intesa come comunità di persone che vivono insieme, è l’ennesima sconfitta: accusare di stalking e molestie quei ragazzi ha il sapore della condanna per tasse ad Al Capone. Il vero problema, l’omofobia, non viene affrontato, ma solo arginato trovando responsabilità nel comportamento. Sarebbe come dire “omofobi sì, ma senza infrangere la legge”.
È la cultura invece che dovrebbe essere cambiata. A tal proposito, qualche tempo addietro, avevamo segnalato un bellissimo filmato in grado di capovolgere la prospettiva e mostrare il tipo di discriminazione subita dagli omosessuali diretta agli etero. Unimamme, e in generale unigenitori, vi consigliamo di vederlo e di mostrarlo ai vostri figli grandi per capire esattamente cosa si prova. Per non dover piu’ leggere storie come questa…