Dal 1906 sir Henry Dale ha scoperto che l’estratto della pituitaria posteriore (l’ossitocina) fa contrarre l’utero, da allora sono state esplorate diverse strade per somministrarla durante il travaglio.
Nel 1927, per esempio, Alex Bourne ha studiato la via sottocutanea dichiarando poi “siamo del parere che una dose di due unità si può applicare nei casi in cui il travaglio è prolungato per lenire così i dolori”. Bourne però osservava anche che, vista la rottura dell’utero in alcuni casi, alcuni insegnanti raccomandavano riguardo nell’uso dell’estratto della pituitaria prima della nascita di un bimbo.
Successivamente però si stabilì che l’innesto di 2-4 millilitri di ossitocina al minuto erano sicuri. O’Driscoll e i suoi colleghi istituirono poi la gestione attiva del travaglio che prevedeva l’amministrazione di ossitocina nelle dosi di 7 – 40 millimetri al minuto alla maggior parte delle donne (il 55% ) al primo travaglio.
Altre cause che portavano a un travaglio più lento, come: malposizionamento, macrosomia, ecc.. non vennero considerate come controindicanti alla somministrazione di ossitocina, sebbene, negli anni Settanta, si raccomandava che questa non fosse somministrata in caso di sofferenza fetale.
La scarsa plausibilità per cui più della metà delle partorienti avessero un travaglio fuori dalla norma non ha fermato l’espansione dell’uso dell’ossitocina nei decenni seguenti per tutti i parti che erano più lenti della norma.
Purtroppo a questa tendenza non si accompagnata la capacità degli assistenti al parto di riconoscere modelli cardiotografici anomali tali da produrre una crisi medico – legale.
Jonsonn e altri hanno osservato che in 60 casi di cure intraparto sfociate poi in azioni disciplinari vi è stato un uso sconsiderato di ossitocina.
Berglund, nel 2008, ha sottolineato un dato ancora più preoccupante: di 177 casi di asfissia neonatale a causa di negligenza nel travaglio il 71% vedeva la presenza di un uso incauto di ossitocina.
L’ossitocina è davvero dannosa? Uno studio indaga
In un recente studio di cui si parla sul Journal of Obstetric and Gynaecology condotto su donne in travaglio naturale, travaglio indotto e pre travaglio da taglio cesareo si è cercato di stabilire gli effetti positivi e negativi dell’ossitocina.
La discussione circa l’uso dell’ossitocina è stata estesa quindi a 3 coorti di donne: nullipare, pluripare senza cicatrice derivata dal cesareo e chi ha la cicatrice.
Nelle donne nullipare il bisogno di ossitocina per aumentare il travaglio è la più alta, mentre l’inefficienza dell’azione uterina è la causa principale di difficoltà nel parto.
Nelle donne multipare ma senza cicatrici l’incidenza di parti cesarei è bassa e quella dell’ossitocina del 5%. Nelle multipare con cicatrice da cesareo l’obiettivo dovrebbe essere quello di conseguire un travaglio molto breve e non usando l’ossitocina in questo gruppo si riduce la possibilità di rompere la cicatrice.
Ciascun gruppo quindi dovrebbe prendere provvedimenti a seconda dei risultati. Tuttavia è bene sottolineare che usando l’ossitocina sulle nullipare si avrà un aumento del tempo del travaglio e della fatica. Per le multipare invece le argomentazioni per usare l’ossitocina al fine di velocizzare il travaglio sono meno persuasive.
Unimamme e voi cosa ne pensate di questi risultati?
Noi vi consigliamo di leggere i 5 motivo per cui l’ossitocina è meglio della pitocina.