Parto naturale: dal travaglio alla nascita passo passo
Come avviene il parto naturale. Quali sono le varie fasi. Cosa cambia se è indotto. Rispondiamo a tutto per accompagnarvi passo passo.
Il parto è sicuramente tra i momenti più intensi nella vita di una donna.
Possiamo differenziare tra diverse tipologie di parto, in base alla procedura messa in atto:
- Parto naturale
- Parto indotto
- Altri tipi di parto naturale come il parto in acqua
Iniziamo a parlare della prima tipologia, il parto naturale.
Vediamo quali sono le fasi che lo contraddistinguono e quali sono i diversi tipi di parto a cui si può andare incontro.
Innanzitutto il parto si può distinguere in due categorie:
- eutocico o fisiologico se avviene spontaneamente,
- distocico o non fisiologico se a causa di complicanze è necessario l’intervento del medico. La distocia (ovvero una qualsiasi alterazione rispetto al parto naturale) può essere causata per esempio da anomalie dell’apparato genitale, alterazioni delle contrazioni dell’utero, da malattie del bambino o altri fattori che impediscono un normale svolgimento del parto.
Il parto può essere invece definito in 4 modi a seconda della gestazione:
- parto pre termine: se si partorisce prima della 37esima settimana;
- parto a termine: quando si partorisce tra l’inizio della 37esima e la fine della 41esima
- parto post termine: quando il parto avviene dall’inizio della 42esima settimana.
- parto abortivo: quando il feto nasce prima della 22esima settimana.
Nel caso in cui – in una gravidanza post termine – le contrazioni non cominciassero spontaneamente, il parto viene indotto. Diversi studi hanno, infatti, dimostrato l’aumento di mortalità e morbilità neonatale dopo le 41 settimane.
Parto naturale
Quando si è in dolce attesa, si spera che il parto possa appunto essere naturale, visto che la ripresa è più veloce e non ci sono le conseguenze di un intervento chirurgico. Ma cosa si intende veramente per parto naturale?
Per parto naturale o spontaneo s’intende quel tipo di parto che avviene per via vaginale senza l’intervento medico o di altri strumenti, come la ventosa oppure l’ossitocina . Anche in questi casi si tratta di un parto vaginale, ma viene definito operativo.
In generale, comunque, con il termine parto naturale viene usato per indicare il parto in cui non si fa ricorso al cesareo.
Come prepararsi per il parto naturale
Sicuramente il miglior modo per prepararsi al parto è quello di prendersi cura di sé. Questo significa frequentare un corso preparto in cui possa essere presente e partecipe anche il partner, ma anche – e soprattutto – dedicarsi alla propria cura attraverso il mangiare sano e l’esercizio fisico.
Un’altra cosa da fare è la valigia per l’ospedale, che contenga tutto il necessario per mamma e bambino; ogni struttura ha una sua lista, ma di solito comprende camice da notti aperte davanti e comode per allattare, i cambi con bodini e tutine per il bambino, asciugamani e tutto ciò che serve per la cura della persona. Fondamentali sono gli assorbenti a “mutanda” per le perdite dopo il parto.
La futura mamma dovrebbe poi cominciare a pensare, durante il terzo trimestre di gravidanza, a che tipo di parto vorrebbe e come vorrebbe che fossero i primi giorni di allattamento.
A questo proposito è molto utile compilare un piano del parto, dove dichiarare la propria volontà in merito al momento del travaglio e della nascita. Per esempio, si può indicare quali persone si vogliono accanto, se si vuole subito il contatto pelle a pelle, se non si vuole un intervento troppo invasivo dei medici.
Altra cosa molto importante è capire che tipo di tutela si ha al lavoro: ci sono condizioni diverse tra le lavoratrici autonome e le dipendenti. E’ fondamentale, però, sapere per quanto tempo si intende rimanere a casa per poter agevolare i rapporti con il datore di lavoro.
Anche capire che tipo di aiuto dopo il parto è molto importante: per esempio il vostro compagno sarà a disposizione o avrà solo i pochi giorni concessi dal congedo di paternità? La vostra mamma starà a casa vostra? Vi avvarrete della presenza di un’ostetrica o di una doula? Tutti aspetti che vanno chiariti prima che il bambino arrivi.
Infine, come dicevamo, visto che l’arrivo di un neonato scombussola la vita di tutti, ma soprattutto di una mamma, è importante dedicarsi a se stesse attraverso delle attività che piacciono e che rilassano. Pensiamo ad esempio a dei massaggi, oppure ad una seduta dal parrucchiere o ad un pomeriggio di shopping tra amiche.
LEGGI ANCHE: PARTO EUTOCICO E DISTOCICO: LE DIFFERENZE TRA I DUE
Le quattro fasi del parto
Il parto può essere un po’ considerato come una sceneggiatura in quattro atti. Le fasi del parto sono infatti:
- una fase di preparazione (prodromi)
- una fase dilatante di travaglio
- una fase espulsiva
- una fase di secondamento, ovvero l’espulsione della placenta.
Prodromi
La fase iniziale è, appunto, quella dei prodromi, in cui l’utero si prepara al travaglio che verrà: i tessuti fanno delle “prove” per il parto, ovvero il passaggio e l’uscita del bambino. E’ anche lo stesso bambino che invia dei segnali chimici alla placenta che inizia a produrre degli enzimi, i quali producono poi a loro volta degli estrogeni.
I prodromi possono durare poche ore o qualche giorno, anche se è difficile capire quando iniziano visto che variano da persona a persona.
Per esempio una futura mamma può non avvertirli per nulla, mentre altre hanno delle contrazioni preparatorie più o meno intense, soprattutto la sera, simili a crampi mestruali. Possono esserci anche altri segnali come per esempio episodi di dissenteria o essere particolarmente stanche.
E’ in questa fase che il collo dell’utero si appiana fino a trasformarsi in un disco sottile e dare origine al canale del parto.
Fase dilatante del parto
Si tratta dell’inizio del travaglio vero e proprio e si differenzia dai prodromi. Mentre nei prodromi le contrazioni sono irregolari e distanziate tra loro, nella fase dilatante diventano più regolari e più dolorose.
Non è necessario appena iniziano le contrazioni andare subito in ospedale: la mamma può aspettare a casa che diventino più regolari (diciamo una all’incirca cinque minuti con una durata di 40-60 secondi).
Non ci sono certezze sulla lunghezza di questa fase: i tempi possono essere molto diversi da donna a donna e dipendono da diversi fattori. Ad esempio la struttura fisica della madre, le dimensioni del feto o anche il luogo in cui si partorisce e il tipo di assistenza che si riceve. Non si può controllare questa fase ed è quello che spaventa maggiormente le donne, ovvero il fatto di non essere padrone del proprio corpo e di non saper gestire il dolore. Ricordatevi però che – sebbene sia giusto ricorrere all’anestesia epidurale qualora lo desideriate – il dolore è funzionale alla discesa del bambino nel canale del parto.
In questa fase la cervice si allunga e l’ipofisi innesca la produzione di ossitocina, la quale fa sì che le contrazioni siano regolari, più vicine e intense. Il collo dell’utero si dilata di un centimetro ogni ora fino a raggiungere i 10 cm e la testa del bambino scende piano pano lungo il canale del parto. In molti casi, il travaglio arriva con la rottura delle membrane, che si può verificare anche prima che inizino le contrazioni.
La fase espulsiva del parto
Si tratta della fase della nascita vera e propria: è quella in cui il bambino percorre tutto il canale del parto ed esce dalla mamma attraverso l’espulsione dall’egresso pelvico, uno dei piani di separazione del bacino.
Prima di questo ultimo momento, che separa la madre dal conoscere il proprio bambino, c’è una fase di transizione. Si tratta di una sorta di riposo che il corpo concede prima di mettere tutte le proprie energie nelle spinte. Potrà sembrare in questa fase che le contrazioni si arrestino e che il travaglio si trovi a uno stallo, ma in realtà il bimbo sta continuando a scendere.
Terminato questo intervallo, la mamma comincia a sentire i premiti, cioè il bisogno impellente di spingere. Bisogna allora assecondare questo impulso – anche se a volte le ostetriche dicono di aspettare per evitare la lacerazione del perineo – favorendo la donna nella posizione in cui si trova più comoda: con l’inizio dell’espulsione, il bimbo flette la sua testa e porta il mento verso il torace in modo da avere delle dimensioni ridotte e attua della parziali rotazioni per adattarsi al bacino. Prima esce la testa e poi, grazie ad un’altra contrazione della mamma, ruota le spalle per poter finalmente uscire.
Il secondamento, l’ultima fase del parto
Dopo la nascita, avviene il clampaggio del cordone ombelicale, ovvero il cordone viene tagliato. In alcuni ospedali questo avviene subito, in altri invece si preferisce aspettare qualche minuto in attesa che smetta di pulsare. Bisogna tenere a mente che il sangue contenuto nel cordone ombelicale contiene le cellule staminali emopoietiche, che possono generare globuli rossi, bianchi e piastrine.
Dopo il clampaggio del cordone c’è il secondamento, ovvero l’espulsione della placenta, che avviene nel giro di 15-20 minuti. Se però entro un’ora non accade nulla, è necessaria la sua estrazione manuale attraverso un intervento in anestesia generale. Una volta uscita la placenta, il ginecologo può ricucire eventuali lacerazioni spontanee o dovute a episiotomia.
La mamma ha già conosciuto il suo bambino che le viene messo sul petto per favorire il contatto pelle a pelle. In alcune strutture il piccolo non viene lavato subito, ma rimane ricoperto della sua vernice caveosa per rispettare appieno la fisiologia del parto. Dopo la nascita, la mamma rimane in sala parto per circa due ore assieme al suo bambino. Questo tempo è importante perché iniziano i movimenti naturali di contrazione dell’utero, favoriti anche della suzione al seno che aiutano anche ad evitare emorragie.
Il travaglio nel parto naturale
Una delle cose che temono di più le donne è di non comprendere i segnali del parto. Eppure ci sono dei segni inequivocabili che attestano l’inizio del travaglio. Ecco quali sono:
- rottura del sacco amniotico: è quello che si chiama “la rottura delle acque”. Il sacco che contiene il bimbo e il liquido amniotico si rompe e così ha inizio il travaglio. Questo può avvenire improvvisamente, oppure lentamente quando perdiamo delle goccioline di un liquido caldo che ci sembra inizialmente urina, ma trasparente e inodore.
- perdita del tappo mucoso: si tratta del tappo che tiene chiuso il collo dell’utero. E’ una sostanza gelatinosa e biancastra, con delle striature rosate e può essere accompagnato da piccole gocce di sangue. Questo non significa però che bisogna correre in ospedale: in assenza di altri sintomi – come perdite, rottura del sacco o contrazioni ravvicinate- è probabile che il travaglio inizi anche alcuni giorni dopo. E’ comunque un segno che tra poco diventerete madri.
- prime contrazioni: quando l’utero si contrare, le prime contrazioni si sentono anche dietro la schiena. Possono essere preparatorie – quando per esempio la pancia si indurisce e ciò avviene soprattutto la sera – visto che non sono ravvicinate (vengono chiamate prodromi), oppure possono essere quelle “vere” se diventano regolari, una ogni 10 minuti. In questo caso è il momento di andare in ospedale.
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La dilatazione nel parto naturale
Generalmente si dice che la donna è ufficialmente in travaglio attivo quando la sua dilatazione è di 3-4 cm. Che cos’è che si dilata? La cervice, che deve arrivare a 10 cm per poter far passare il bambino dal canale del parto.
Una volta che i medici hanno accertato l’inizio del travaglio, si aspettano due ore, durante le quali comunque la dilatazione dell’utero viene tenuta sotto controllo attraverso la visita vaginale.
Se la dilatazione prosegue – per un primo figlio calcolate almeno 1 cm ogni ora – allora è possibile che il sacco amniotico si rompa spontaneamente senza l’intervento medico. Qualora ciò non avvenisse si può aspettare a dilatazione quasi ultimata per rompere il sacco amniotico.
Come abbiamo appena detto, all’inizio il collo si dilata lentamente, dando origine a delle contrazioni distanziate e piuttosto sopportabili. In questa prima fase si dilata fino ad appiattirsi sulle pareti della vagina per dare origine al canale del parto attraverso il quale potrà passare il bambino.
Bisognerà aspettare un po’ di tempo prima che la dilatazione possa definirsi completa: in questa fase la mamma potrebbe soffrire per via delle contrazioni ravvicinate e molto forti (una ogni minuto e mezzo circa). Se volesse però l’epidurale dovrebbe richiederla per tempo, a 3-4 cm, visto che a dilatazione quasi ultimata rischia di allungare i tempi del travaglio poiché la donna non sente le spinte durate la fase espulsiva.
Cosa succede nel caso in cui il travaglio sia rallentato a causa delle contrazioni poco efficaci o di mancata rottura del sacco? Si può ricorrere all’amnioressi, una pratica che rompe artificialmente il sacco amniotico tramite un uncino. Si aspettano alcune ore e nel caso in cui non succedesse nulla, si procede con una flebo di ossitocina per indurre il parto, in modo da rendere le contrazioni più regolari e forti per aiutare il bambino a muoversi e ad uscire.
I miti sul parto naturale assolutamente falsi
1 – Le acque si rompono come nei film: sapete che tutti i film hanno una scena in cui le acque si rompono e sembra che si sia appena fatto scoppiare il più grande pallone pieno d’acqua del mondo? Non è realistico. Quando è arrivato il momento, la rottura delle acque può sembrare più un gocciolio che uno scoppio. Inoltre, solo il 10% delle donne rompe le acque spontaneamente, molto più spesso lo fanno i medici in ospedale.
2 – Puoi non richiedere alcun clistere. Alcune ostetriche raccomandano di usarlo per iniziare il travaglio, ma non è una abitudine del parto vaginale che bisogna considerare: si può anche richiedere di non farlo.
3 – La placenta viene espulsa subito: l’espulsione della placenta non è immediata come le persone possono pensare. E’ vero che in alcuni casi può avvenire più velocemente, ma in molti casi ci vogliono fino a 30 minuti dal parto per l’espulsione.
4 – Contrazioni smettono quando inizi a spingere: le contrazioni sono considerate come il preludio della fase espulsiva, ma non scompaiono una volta che inizia il travaglio attivo. Come sottolinea la rivista “Parents”, anche se potrebbero diventare meno forti, le contrazioni sono ancora presenti durante il travaglio.
Quando un parto si definisce fisiologico
Nel parto fisiologico, il corpo della donna prende il sopravvento ed espelle il bimbo con una o due contrazioni.
Questo è un riflesso fisiologico, ovvero universale e comune a tutti gli esseri umani. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, il parto fisiologico si avvia spontaneamente al termine della gravidanza e giunge alla sua fine con la nascita e l’espulsione della placenta, senza ulteriori complicazioni ostetriche e neonatali.
Il termineriflesso di eiezione fetale,invece, è stato coniato negli anni Sessanta dal biologo Niles Newton, per uno studio sui topi.
Vent’anni dopo però il dottor Michel Odent ha pensato che questo termine fosse la chiave per capire cosa ci sia di difficile nella nascita dei bambini e cosa si può fare per migliorarla.
Odent quindi spiega che il riflesso di eiezione fetale è un fenomeno raro perché l’ambiente che circonda le mamme non è quello adatto.
Innanzitutto, il parto deve essere completamente indisturbato. Il riflesso infatti viene inibito se qualche persona si assume il ruolo di guida, di persona di supporto, di osservatore.
Purtroppo, allo stato attuale, l’approccio al parto è quello per cui una donna si trova in un ambiente luminoso, osservata da estranei, la tendenza moderna è quella di interferire sempre di più via via che il parto è imminente.
Il riflesso di eiezione fetale può essere inibito anche dal contatto diretto con gli occhi o dall’imposizione di un cambiamento nell’ambiente come avviene quando una donna viene spostata nella sala parto.
Viene inibito anche quando l’intelletto della partoriente viene distratto da qualche domanda, anche banale.
Quando una donna è in travaglio, a svolgere la parte più attiva del suo corpo è il suo “cervello primitivo“, ovvero le strutture cerebrali arcaiche che abbiamo in comune con gli altri mammiferi.
Affinché, però, questa parte del cervello possa lavorare bene l’altra parte, la neocorteccia (la parte più razionale) deve essere disattivata.
In questo modo la donna può estraniarsi completamente dal mondo circostante compiendo così una sorta di viaggio interiore.
Odent quindi suggerisce che le donne debbano partorire in una stanza tranquilla, avvolta nell’oscurità con un’ostetrica che si tenga a debita distanza.
Solo in questo modo la mamma potrà entrare in uno stato di semi-estasi.
Lesley Page, Presidente del Royal College of Midwives sostiene che il riflesso di eiezione fetale è qualcosa che tutte le donne dovrebbero sperimentare nella giuste circostanze. “Abbiamo bisogno di più comprensione e rispetto nei confronti della fisiologia“dichiara la donna “avere più donne affidate alle cure delle ostetriche in casa e nei centri di nascita potrebbe aiutare. Avremmo anche bisogno di contenere la paura, che è ormai diventata parte integrante della cultura del parto”.
Riassumendo, per avere un parto fisiologico c’è bisogno di:
- silenzio
- luci soffuse o buio
- intimità. La donna non deve sentirsi osservata: la presenza di persone che guardano o filmano è controproducente
- protezione, senso di sicurezza. Sentirsi al sicuro è un requisito fondamentale. Ogni situazione di ansia o paura provoca il rilascio di adrenalina, che stimola la neocorteccia inibendo il processo del parto. Nei minuti che precedono la nascita, invece, è necessaria una scarica di adrenalina per permettere il riflesso di eiezione del feto (lo stesso meccanismo che permette di raggiungere l’orgasmo durante un rapporto sessuale)
- calore: nella fase successiva di secondamento (uscita della placenta) è necessario che mamma e figlio siano al caldo, pelle a pelle, così la donna raggiungerà il picco di ossitocina
Il processo di parto fisiologico però non si esaurisce qui, ma continua nell’ora successiva alla nascita. Ecco perché le condizioni sopra elencate devono permanere, in modo che venga preservato il delicatissimo rapporto tra mamma e bimbo.
Oggi, grazie ai risultati scientifici conseguiti, anche se in una gravidanza precedente avete affrontato un cesareo, potete comunque scegliere di partorire in modo naturale (il cosiddetto VBAC, Vaginal Birth After Cesarean).
Sappiate che una variabile tra il 60 % e l’80% di donne riesce ad avere un VBAC.
Vediamo quali sono i suoi vantaggi:
- meno rischi di infezioni ed emorragie rispetto al cesareo
- minor tempo di convalescenza: evitando l’intervento chirurgico vi riprenderete più in fretta
- maggiore partecipazione al parto
- conseguenze su gravidanze future: ripetere il cesareo diventa più complicato nei tentativi successivi.
Le possibilità di avere un parto naturale dopo un cesareo aumentano secondo determinate condizioni:
- se non avete subito altre operazioni all’utero
- se madre e bambino sono in buona salute e non ci sono complicazioni durante la gravidanza
- il motivo che ha spinto al cesareo la prima volta, ora non è più rilevante
- il travaglio inizia naturalmente o un po’ prima della data prevista
- avete già partorito naturalmente in precedenza
Ci sono, invece, delle circostanze in cui le possibilità di dare alla luce il bimbo naturalmente dopo un cesareo diminuiscono
- il bimbo non nasce nella data prevista
- il piccolo è molto grande
- avete avuto altri cesarei e non avete mai partorito naturalmente
- siete obese
Purtroppo non sarete la candidata ideale nemmeno se
- durante la gravidanza precedente l’utero si è lacerato
- avete problemi di salute che potrebbero interferire col parto naturale
- il parto è trigemellare o se i gemelli non sono in posizione cefalica.
Per favorire il parto naturale dopo il cesareo potreste:
- partecipare ad un corso e documentarvi
- assicurarvi che il ginecologo sia reperibile durante il travaglio
- partorire in un ospedale ben attrezzato
- non indurre il travaglio coi farmaci
- essere pronte comunque ad un parto cesareo
- è sempre raccomandabile durante la gravidanza cercare di seguire una dieta sana, fare attività fisica e riposarsi
Per essere perfettamente consapevoli della scelta, bisogna considerare anche i pericoli
- il piccolo potrebbe non sopportare le doglie ed è necessario un nuovo cesareo
- ci potrebbe essere infezione uterina: ricorrere a un cesareo a doglie già iniziate può portare a delle complicazioni
- ci potrebbe essere una lacerazione dell’utero, in corrispondenza del taglio precedente. In questo caso si avvia un cesareo d’urgenza
- il pavimento pelvico potrebbe creare problemi e causare incontinenza, per fortuna, però, solo temporanea.
Il parto è doloroso?
Quando una mamma deve partorire si domanda a che cosa assomigli il dolore del parto. E’ molto difficile trovare una definizione univoca, visto che ogni esperienza è diversa, così come la sensibilità al dolore.
Partorire fa male, è inutile negarlo. Si tratta di un dolore ad ondate, che permette al bambino di farsi strada nel canale del parto. Molte donne riferiscono che è come provare una colica renale molto forte, mentre altre di una sorta di cintura che stringe alla vita sempre di più e poi lascia la presa. Una ricerca ha sottolineato che i dolori del parto sono paragonabili a quello di 20 ossa che si frantumano contemporaneamente: insomma, non propriamente una passeggiata.
Bisogna inoltre chiarire che non c’è un modo giusto o sbagliato di affrontare il dolore: alcune donne hanno una soglia molto alta, mentre altre alle prime contrazioni possono già iniziare a contorcersi e lamentarsi.
Ogni esperienza è personale, per cui dipende da come si arriva al parto: oltre alla componente fisiologica, infatti, c’è anche quella psicologica che probabilmente è anche ciò che permette di affrontare una prova molto difficile ed emotivamente coinvolgente come il parto. Durante la nascita, vengono liberate le endorfine sia dalla parte della mamma sia dalla parte del figlio, che permettono di sopportare meglio il dolore. Ovviamente c’è anche la possibilità di ricorrere all’anestesia epidurale che permette di arrivare alla fase espulsiva meno stanche, prima di cominciare appunto a spingere (che però può rallentare anche le contrazioni e allungare i tempi del travaglio).
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Cos’è il parto indotto
Il parto indotto è una pratica che si applica oltre la 40esima settimana di gravidanza, ovvero due settimane dopo il termine dei nove mesi. Consente di far nascere il bimbo senza praticare il parto cesareo.
Possono tuttavia esserci altri casi in cui si induce il parto prima della fine del termine della gravidanza, ad esempio
- per problemi legati alla salute della mamma (problemi di placenta, gestosi, ecc)
- per problemi legati alla salute del bambino
In questi casi si decide per il parto indotto in seguito ai controlli medici. Si può scegliere di far iniziare il travaglio o tramite l’iniezione di ossitocina ( l’ormone che provoca le contrazioni), oppure con dei movimenti praticati dall’ostetrica affinché il collo dell’utero dia inizio alle contrazioni.
La tecnica ostetrica del parto indotto si articola in diverse fasi:
- come prima fase, la stimolazione delle membrane
- qualora la stimolazione non sortisca effetti, si passa all’applicazione di un gel di prostaglandine artificiali ( sostanze che inducono il parto). Le prostaglandine vengono iniettate fino a un massimo di quattro volte
- nel caso in cui neanche il gel abbia provocato l’inizio del travaglio, l’ostetrica procede alla rottura del sacco amniotico. Grazie all’introduzione di uno strumento in plastica a forma di uncino che rompe il sacco, si permette così alla testa del bimbo di scendere fino all’altezza della vagina costringendo il sacco amniotico a contrarsi
Qualora le contrazioni non dovessero avvenire neanche con la rottura del sacco amniotico, viene somministrata alla mamma una flebo di ossitocina, che ha appunto il compito di provocare le contrazioni. Trattandosi di un procedimento non naturale e avviato attraverso l’uso di farmaci, il parto indotto può essere più doloroso, ma non comporta particolari rischi per il bambino.
Nel caso in cui neppure l’ossitocina dovesse sortire degli effetti, si prova dapprima un’altra induzione, poi si procederà al cesareo.
Parto indotto: tutti i metodi
Esistono poi dei metodi alternativi per indurre il parto:
- Metodo Benderelle: si utilizzano fettucce di 15 cm simili a degli assorbenti interni che vengono inserite in vagina e che contengono un materiale che rilascia a poco a poco le prostaglandine. È un sistema che si sta diffondendo molto: avvenendo un rilascio graduale, le contrazioni si avviano in maniera più tranquilla. E inoltre la fettuccia può essere tolta o rimessa, a seconda di come si mette il travaglio.
- Metodo del palloncino: è una tecnica innovativa e ancora in fase di sperimentazione. Si inserisce, nel canale vaginale, un palloncino che si gonfia di 4-5 cm quando arriva all’altezza del collo dell’utero. Avviene così una stimolazione meccanica, che provoca lo scollamento delle membrane e la produzione di prostaglandine naturali, che permettono di raccorciare il collo dell’utero. E’ stato collaudato in alcuni centri pilota, ma ci vorranno ancora alcuni anni perché possa essere una pratica generalizzata.
- Gel a base di prostaglandine. In realtà è un sistema abbastanza superato perché comporta un maggior rischio di ipercontrattilità uterina, ovvero di contrazioni che non modificano o appianano il collo dell’utero.
- Ossitocina: viene utilizzata quando il collo dell’utero si è ammorbidito e appianato, ma nonostante ciò la dilatazione non va avanti e il travaglio non ha il suo avvio. Viene somministrata via flebo, aumentando le contrazioni e favorendo così la dilatazione. Si tratta di una tecnica efficace e comprovata, basta saper individuare la dose minima per ottenere l’effetto voluto e aspettare un periodo di tempo lungo per aumentare la quantità del farmaco. Questo perché l’ossitocina rende il travaglio più doloroso e può anche aumentare il rischio di emorragia post partum.
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