Un grande gesto di umanità da parte di un medico che, in ospedale, ha distribuito cioccolato per Pasqua.
Unimamme, in questi giorni stiamo assistendo a gesti di grande umanità da parte di tante persone: da chi prepara i pacchi di cibo per le persone bisognose, chi dona i propri prodotti, chi aiuta i pazienti ricoverati per coronavirus a fare una telefonata ai pazienti, forse l’ultima.
Dal presidio Maria Pia Hospital di Torino arriva una bella storia che ci riscalderà il cuore. Paolo Russo, cardiologo emodinamista del Maria Pia Hospital, la clinica sulla collina di Torino che si è riconvertita a Covid Hospital, ha avuto una bellissima trovata per ricordare a tutti che ieri era un giorno di festa. “Da quando sono medico trascorro Natale e Pasqua con loro, che sono la mia famiglia» ha dichiarato il dottor Russo. Quest’anno, per ovvi motivi non si è potuto celebrare il pranzo collettivo così, insieme a un’infermiera, ha acquistato al Sermig una cinquantina di cubetti di cioccolato facendoli personalizzare con la scritta ce la faremo donandoli ai pazienti.
I pazienti sono dietro a una porta chiusa, non possono aprire la finestra, purtroppo come ormai sappiamo bene muoiono da soli, senza rivedere di persona i famigliari, nei casi più fortunati possono dirgli addio con una chiamata, ma non sempre è così. Ecco cosa ha detto il medico. “Il vero senso di questo periodo credo sia la solitudine. I pazienti vivono dietro una porta chiusa, non possono neanche aprire la finestra, e muoiono dietro una porta chiusa, avvolti in un lenzuolo imbevuto di cloro. L’altro giorno un collega è riuscito a mettere in contatto un paziente con la sua famiglia, attraverso la video chiamata di un telefonino. Si sentiva quasi in imbarazzo per essere entrato nella loro privacy e soltanto in un secondo momento si è accorto di aver esaudito l’ultimo desiderio di un uomo che non ce l’ha fatta».
I sanitari sono talmente “corazzati” con tuta, mascherina e occhiali da essere resi irriconoscibili agli occhi dei pazienti. «Siamo fortunati perché la clinica ci fornisce tutti i dispositivi di protezione individuale che invece da altre parti non ci sono. Dentro quei camici, però, siamo soli, nonostante lo spirito di gruppo che si è creato tra tutti noi”. Unimamme, cosa ne pensate di questa vicenda raccontata su La Stampa?
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